Consumo del vino, la rivoluzione è terminata
LO SFUSO DESTINATO A DIVENTARE UN RICORDO, LE NUOVE GENERAZIONI CHE VEDONO IL VINO SEMPRE PIU’ LONTANO DAL CIBO. INSOMMA: NON E’ TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA
Ricordate – o magari lo avete ben presente – il pensionato che va a riempire il boccione dal produttore sotto casa, utilizzando magari quell’inquietante pompa identica a quella della benzina? Bene, fategli pure ciao con la manina. Nel caso vi manchi, beninteso.
Quella forma di consumo è destinata – almeno così concordano tutti gli indicatori e osservatori professionali – ad esaurirsi molto velocemente, a dileguarsi insieme alla generazione di chi adesso è over 70.
Il futuro di cui si parlava tanto una decina di anni fa? Si è avverato.
La rivoluzione è terminata. Consumi in calo (negli anni ’70 in Italia si beveva più o meno il triplo di oggi) da una parte, estetizzazione del vino dall’altra, diventato argomento di discussione, rifugio intellettualistico (ma spesso intellettualoide), status symbol. Anzi: status symbol è sempre stato, sin dai simposi romani.
Ok, ma le orde di appassionati usciti dal corso di degustazione si ricordano che il posto del vino è a tavola? Che la degustazione è – certamente – propedeutica al bere, ma proprio per questa ragione non la annulla? Che il super Barolo da 50 € vuole un bel pezzo di carne, a tavola con gli amici, e non è strumento per imporre la propria vanità al tavolo passando la serata a girarlo nevroticamente nel bicchiere?
Ancora, e soprattutto: che per bere bene (bene) bastano – se si sa cercare – anche solo 7-8 €?
Io ho i miei dubbi. Insomma: la rivoluzione è terminata, è stata senz’altro attuata. Ma non è tutto oro quello che luccica. La simbolizzazione del vino è stata spinta troppo avanti, a causa spesso anche della scarsa preparazione di molti attori del mondo del giornalismo di settore. Ora è tempo di ridare al volto dell’unico alimento che l’uomo ha sacralizzato un filino di umanità persa per strada.
Francesco Annibali